La più grande comunità straniera in Algeria? I cinesi
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La più grande comunità straniera in Algeria? I cinesi

Il loro arrivo è cominciato intorno all'anno 2000 e ora la comunità è di 40 mila persone

Operai cinesi mentre costruiscono la grande Moschea di Algeri
Operai cinesi mentre costruiscono la grande Moschea di Algeri
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Diego Minuti Modifica articolo

1 Marzo 2017 - 17.49


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Sono circa quarantamila e, ormai, costituiscono la più importante comunità straniera in Algeria.
Ma, contrariamente a quanto si possa pensare, non sono persone che vengono da altri Paesi del Nord Africa o delle regioni sub-sahariane, per le quali l’Algeria da sempre costituisce un polo d’attrazione grazie alle sue industrie, le più avanzate della sponda sud del Mediterraneo.
No gli ”stranieri” più presenti in Algeria hanno gli occhi a mandorla e, prima di arrivare, parlavano il mandarino o uno dei tantissimi dialetti delle Cina.
Quello dell’immigrazione dalla Cina in Algeria  è un fenomeno relativamente recente e coincide con l’enorme sforzo di Pechino di penetrare mercati – ovunque si trovino –  potenzialmente ricettivi per il suo export o dove offrire i servigi delle proprie imprese di costruzioni, tra le più agguerrite del pianeta.
Come la  Zhejiang Construction Investment Group Corporation (Zcigc), arrivata in Algeria nel 2003 e ormai stabilitasi nel Paese, dove ha ottenuto lucrosi contratti nel settore delle infrastrutture. Per non parlare della  Cscec, che ha vinto l’appalto – quasi un miliardo di dollari – per la costruzione della Grande Moschea di Algeri, fortemente voluta dal presidente della Repubblica, il quasi ottantenne Abdelaziz Bouteflika, quasi a volersi regalare l’imperituro ricordo dei suoi connazionali. Un’opera gigantesca nell’estensione, oltre che nei costi preventivati, tanto che la Cscec ha messo in programma di   ”importare” dalla madrepatria settemila tra tecnici ed operai per ultimare la costruzione nei tempi imposti dal contratto.
Ma non tutto va bene per i cinesi che, come riferisce il quotidiano riformista El Watan, devono fare i conti con la non sempre benevola accoglienza da parte degli algerini. Come raccontano le cronache che riguardano il quartiere Boushaki, a Bab Ezzouar, nella provincia di Algeri, dove sin dai primi anni 2000 sono arrivati i primi cinesi, tanto da essere ”ribattezzato” «Chinatown». Un quartiere dove spesso i cinesi sono oggetto di provocazioni da parte di giovanissimi algerini che tentano di intimorirli per alleggerirli di denaro. Un sopruso che forse viene incoraggiato dall’atteggiamento mite dei cinesi che raramente accettano lo scontro fisico, anche se, quando decidono di difendersi, lo fanno efficacemente.
L’arrivo di manodopera cinese, come facilmente intuibile, non è stata molto gradita dalla maggioranza degli algerini – in special modo dai giovani – che speravano di potersi inserire, nel campo del lavoro, nei settori in cui i cinesi sono oggettivamente forti, come quello delle grandi infrastrutture. Un settore dove molti ragazzi, grazie alla buona scolarizzazione imposta dal governo, aspiravano ad entrare. Ma, a conti fatti, pur se costano meno,  i lavoratori algerini  non hanno il profilo professionale richiesto dai cinesi che, paradossalmente, trovano più conveniente organizzare massicci ponti aerei per fare arrivare da casa propria le maestranze (cui garantiscono alloggi e vitto) che non assumere i ragazzi algerini.
Cosa che non ha certo spianato la strada a rapporti ottimali tra gli algerini e la  comunità cinese, guardata sempre con un misto di invidia e rancore, come chi viene a rubarti un lavoro che  sentivi già tuo.
A questo occorre aggiungere che i ritmi di vita dei cinesi sono dettati dai pesanti turni di lavoro che quasi impediscono loro di avviare rapporti sociali con gli algerini.
Dice il management delle grandi aziende cinesi presenti in Algeria: avremmo voluto assumere ragazzi locali, ma non ne hanno la preparazione. Un ragionamento che non fa una piega, ma che sembra poco digeribile dai tantissimi giovani laureati algerini che, dopo un cursus studiorum di tutto rilievo, si trovano a ciondolare per strada o a bere – con tempi di una lunghezza indicibile – caffè gettando sguardi poco amichevoli verso quegli stranieri dagli occhi a mandorla.

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